Dopo il golf, un altro sport per eccellenza squisitamente mentale è sicuramente il tennis!
Non a caso la differenza tra i primi dieci tennisti nel ranking mondiale ed i successivi novecentonovanta è solo marginalmente nella tecnica e/o nella preparazione atletica.
Piuttosto è nella capacità di gestire la mente, le emozioni, le immagini e le parole che il tennista crea e vive durante un match.
Non è questione di dono naturale, è questione di allenamento, quello mentale.
Ed è proprio nel tennis, negli anni ‘70, che ci si rese conto di quanto la testa influisse sulle prestazioni! Fu Timothy Gallwey che, con il suo “The Inner Game”, il gioco interiore, gettò le basi del coaching!
Gallwey arrivò a questa conclusione:
“Ogni sforzo umano impegna due arene: quell’esterna e quell'interna. Il gioco esterno è giocato su un'arena esterna per superare ostacoli esterni e per raggiungere un obiettivo esterno. Il gioco interiore avviene all'interno della mente del giocatore e si gioca contro ostacoli come paura, insicurezza, dialogo interno depotenziante, mancanza di focus, e di convinzioni limitanti. Il gioco interiore è giocato per superare gli ostacoli autoimposti che impediscono un individuo o un gruppo di accedere al loro pieno potenziale.”
Dagli anni ‘70 in poi il coaching sportivo ed il mental training di strada ne hanno fatto tanta!