La Parola è lo strumento che uso nel mio lavoro quotidiano per aiutare le persone. E ogni giorno le riconosco un potere sempre maggiore!
Non a caso Sigmund Freud una volta disse: “È impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole.”
Lo stesso Freud, sempre sulla Parola, si è così espresso: “In principio parole e magia erano una sola cosa, e perfino oggi le parole conservano molto del loro potere magico. Attraverso le parole ognuno di noi può dare a qualcun altro la massima felicità oppure portarlo alla totale disperazione; attraverso le parole l'oratore trascina il pubblico e ne determina giudizi e decisioni. Le parole suscitano emozioni e sono il mezzo con cui generalmente influenziamo i nostri simili”.
Della Parola, e dei suoi usi “magici”, ne sono rimasto subito affascinato sin da quando ho iniziato a studiare per diventare un coach professionista e un trainer di PNL.
Usi magici, già, è proprio così che è nata la Programmazione Neuro-Linguistica, quando un giovanotto curioso (R. Bandler) si imbatté in un terapeuta che era anche un po’ mago. Questi, quando parlava con i clienti, riusciva a fare con le parole delle cose che sembravano magiche.
Bandler, ascoltando le audio-cassette delle registrazioni di sedute di terapia della Gestalt, le trascriveva, e ben presto si ritrovò ad imitare gli schemi linguistici di Fritz Perls. Scoprì, rimanendone esterrefatto, di poter effettivamente ripetere la magia della Terapia.
Così, con la volontà di capire come funzionava, contattò uno dei suoi professori (Grinder), docente di linguistica, per farsi aiutare a comprendere come delle semplici parole e il solo fatto di esprimerle in modo particolare potessero avere un effetto così magico.
Dopo Fritz Perls, Bandler e Grinder, trovarono altri “maghi” come: Virginia Satir e Milton Erickson, e iniziarono ad estrapolare le strutture linguistiche di questi terapeuti che con il potere della Parola portavano a casa risultati fuori dal comune. Il comune denominatore di questi tre maghi della terapia è che usando le parole in un certo modo facilitavano le trasformazioni nella vita di uomini e donne.
Ora, come è possibile che l’uso sapiente della parola sia così potente nel determinare dei cambiamenti e delle migliorie nelle vite delle persone? Il concetto fondamentale da riprendere è che noi umani mappiamo le nostre esperienze proprio tramite il linguaggio. La parola è quindi l’àncora che richiama le esperienze passate ed è, di fatto, il sistema di ancoraggio più comune.
Anche gli studi sulla grammatica trasformazionale (Chomsky) mettono in risalto quanto la parola sia l’unico strumento di collegamento tra la struttura profonda e quella superficiale. Vale a dire tra quello che ci accade realmente come esperienza, (struttura profonda), ovvero le rappresentazioni interiori, le immagini mentali, i suoni, le sensazioni a livello neurologico e inconscio e quello che effettivamente riusciamo a dire o a pensare consciamente (struttura superficiale).
La struttura superficiale è quindi una versione assai ridotta della nostra effettiva esperienza, e poiché nel passaggio da struttura profonda a struttura superficiale avvengono tre processi, quali: la distorsione, la cancellazione e la generalizzazione, ci possono essere delle limitazioni che impediscono la realizzazione del potenziale di ognuno di noi. Ed ecco che la parola, e il suo sapiente utilizzo, può liberare la persona e il suo potenziale.
Siamo abituati ad ascoltare il motto che “un’immagine vale mille parole”, eppure è vero anche il contrario. Robert Dilts, uno dei ricercatori più prolifici nella PNL, è solito dire nei suoi corsi: “Una parola vale come mille immagini.”
Ogni singola parola usata o ascoltata viene rappresentata internamente attraverso la ricerca transderivazionale. In altre parole, la nostra mente, per dare un significato ad una parola, passa inconsciamente in rassegna tutti i significati possibili che quella parola evoca, ed è strettamente dipendente dalle singole esperienze vissute.
Ora, per fare un esempio, leggendo la frase: “Ieri ho avuto un incidente…”, sarà sicuramente palese che non mi sono divertito e quindi il senso generale sarà inteso, ma, se non si faranno ulteriori domande che vanno ad indagare cosa sia successo, ogni lettore troverà per la parola “incidente” un’immagine diversa. Posso essermi tagliato con la carta, posso esser caduto dalla moto, posso esser inciampato su di un gradino e così via… è proprio il caso di ripetere che ogni parola vale mille immagini!
Il potere della parola è molto più forte di quanto comunemente si possa pensare e non deve rientrare esclusivamente ad utilizzo di coach e terapeuti, che della parola fanno il principale strumento lavorativo. E infatti, nelle mie sessioni di coaching non mi limito a usare la parola come strumento meramente lavorativo, uno dei miei principali obiettivi è che il mio coachee impari per se stesso e la sua vita di relazione quanto l’uso di parole potenzianti può far scaturire emozioni positive, mentre l’uso sbagliato delle parole può portarci inesorabilmente a stati depotenzianti e poco utili. Sottolineando quanto tutto questo accade sia che ci rivolgiamo agli altri sia che parliamo con noi stessi (dialogo interno).
Anthony Robbins dice: “Le parole che pronunci con convinzione emotiva diventano la vita che vivi, il tuo paradiso oppure il tuo inferno”. Troverai molto diverso, ad esempio, dirti “sono distrutto” e dirti, invece, ”ho le batterie un po’ scariche”. Le emozioni che suscitano i due modi di parlarti sono decisamente diverse e così anche la stanchezza percepita: nel primo caso ti sentirai molto più stanco che nel secondo. Soprattutto se quel “sono distrutto” continui a ripetertelo.
Le parole, comunque, non sono in sé buone o cattive ma, piuttosto, potenzianti o depotenzianti. Conoscere gli effetti che possono suscitare sulla mente inconscia (nostra e altrui) può aiutarci a stare meglio con noi stessi e con gli altri. Ci sono delle parole all’apparenza innocue che possono risultare del tutto negative per i nostri obiettivi. Sono quelle parole che creano una vera e propria barriera all’azione e spesso sabotano il nostro inconscio. Sto parlando dei famigerati predicati “provo a” e “cerco di”.
Di fronte ad una nuova sfida, ti è mai capitato di dirti “provo a superarla” o, ancor peggio, “cercherò di farlo”. Non si può “cercare di fare una cosa”: la si fa o non la si fa. Dicendo a te stesso “cerco di”, il cervello si chiede “vuoi che ci riesca oppure no?” E utilizzare addirittura il futuro significa procrastinare ulteriormente la decisione.
Altra parola cui fare attenzione è “devo”. Il “devo”, infatti, è autosabotante, perché ci mette di fronte ad un’imposizione, una costrizione che il nostro inconscio può prendere piuttosto male. E poiché la mente inconscia regola automaticamente la maggior parte dei nostri comportamenti, è probabile che ciò che “dobbiamo” ma non “vogliamo” diventi un boomerang. È quindi utile stoppare i “devo” che affiorano, e iniziare a chiederci se dietro quel “devo” c'è anche un “voglio” e, se sì, cominciare da subito a parlarci diversamente, sostituendo il “devo” con il “voglio” o il “posso”.
In conclusione, le parole che noi utilizziamo per descrivere la nostra esperienza diventano la nostra esperienza! Usando parole di qualità, parlando in modo positivo, anche la nostra realtà sarà migliore!
Questo articolo l’ho scritto per la rivista “CoachMAG – Il magazine del coaching” e puoi trovare l’estratto qui: “La parola è magia!”
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